Rassegna stampa 2013
La fine del patto di sindacato e la carica degli investitori esteri
Mediobanca, è cresciuta e ha consolidato la leadership della finanza italiana come banca d’affari delle grandi famiglie. Ma in due casi il legame era più forte e più esclusivo degli altri. Naturalmente Enrico Cuccia è stato il banchiere degli Agnelli e di casa Fiat. Il secondo rapporto storico è stato con Pirelli e, in particolare, con Leopoldo Pirelli. Per questo lo scioglimento del patto di sindacato della Pirelli, formalizzato giovedì scorso, acquista un sapore tutto particolare. Certo pone le premesse, o prende atto, di una versa svolta: Pirelli ha cambiato pelle, andando verso il modello di società ad azionariato diffuso, con tutto quanto questo significa, compresa l’ipotetica possibilità di scalate per conquistarne il controllo. Azionariato diffuso vuole dire affrontare ancora di più il giudizio del mercato, compresa la disponibilità a prendere atto di maggioranze diverse. E questo significa, detto in altri termini, che un’altra delle poche multinazionali italiane si appresta a diventare ancora più internazionale. La Pirelli di oggi, come del resto Mediobanca, è molto diversa ed è guidata da un manager azionista, Marco Tronchetti Provera, indicato dallo stesso Cuccia quando si è trattato di riorganizzare il gruppo vent’anni fa, dopo il fallimento del tentativo di conquistare la tedesca Continental. Una operazione ritenuta male impostata da Mediobanca, che tornò in campo per salvare il salvabile indicando proprio Tronchetti Provera come successore di Leopoldo Pirelli. All’epoca l’attuale presidente esecutivo di Pirelli & C. era poco più che quarantenne in cerca di affermazione definitiva. Oggi affronta la svolta con lo spirito di chi deve prendere decisioni che, prima di tutto, hanno carattere esistenziale. “Quello che dica da tempo sta avvenendo”, ha detto Tronchetti nei giorni scorsi preannunciando lo scioglimento del patto che aveva come cardini Mediobanca, la Generali, la Edizione dei Benetton, Fonsai, Intesa Sanpaolo. La conferma che la nuova catena di comando del gruppo ha carattere transitorio è che, dopo l’offerta pubblica di acquisto su Camfin, la cassaforte di Pirelli avrà, oltre a Tronchetti, (che controllerà il 37,69%), tre azionisti di peso: Unicredit (18,85%), Intesa Sanpaolo (stessa quota) ma soprattutto il Fondo Clessidra, di Claudio Sposito (con il 24,61%). I partner bancari hanno detto e ribadito più volte che i tempi della presenza stabile nell’azionariato delle grandi aziende sono finiti. Anche se la loro uscita sarà molto graduale. Il coinvolgimento di Clessidra è transitorio per definizione essendo un fondo di private equity. L’arrivo dei nuovi soci era necessario per la sistemazione della partita Pirelli dopo lo scontro con i Malacalza. Il problema era rappresentato dal debito in Camfin. Vittorio Malacalza, che ha definito “non sostenibile” l’indebitamento di Camfin se non con il ricorso a operazione di carattere straordinario, cioè la vendita di asset Pirelli, proponeva un aumento di capitale e, grazie alla disponibilità del colosso bancario svizzero Ubs formalizzata in una lettera d’intenti, era pronto a garantire l’inoptato e perfino a finanziare Tronchetti. Quest’ultimo ha considerato la proposta come una mossa con cui l’ex alleato, ricco di liquidità, stava cercando di sfilargli l’azienda. L’alternativa è stata l’entrata in campo di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Clessidra con la sottoscrizione di due nuovi bond, ognuno da 125 milioni, con scadenza a fine 2014 e a fine 2015. Proprio il tipo di operazione contrastata da Malacalza, secondo cui era un errore finanziare il debito in scadenza con altro debito. Una critica che Tronchetti ha sempre respinto sottolineando che la redditività della Pirelli poteva permettergli di farlo senza problemi. E in proposito, ogni volta che ne presenta l’occasione, viene ricordata la redditività elevata del gruppo. Espressa in termini d’incidenza dell’Ebit (il risultato prima degli oneri finanziari) sui ricavi è raddoppiata del 6% del 2009al 12,2% del primo semestre 2013, andando di pari passo con investimenti in ricerca e sviluppo tra i più elevati del settore (circa il 7% del fatturato totale quelli nel segmento Premium, la diversificazione nei prodotti di gamma alta, contro una media del 3%). La profittabilità di Pirelli spiega un’altra condizione che sta accelerando la marcia verso il modello dell’azionariato diffuso: dall’agosto 2009 al luglio 2013 la presenza degli investitori istituzionali internazionali sul flottante, che rappresenta quasi il 56% del capitale Pirelli, è passata dal 33 al 68%. Ecco perché il futuro degli assetti di comando del gruppo si giocherà anche oltre confine. E vedrà Tronchetti fare scelte che, prima di tutto, sono scelte di vita su cui peseranno l’amarezza per le vicende giudiziarie e le decisioni sugli assetti delle società di famiglia. Con la possibilità di un colpo di scena finale: il ritorno sul luogo del delitto dei Malacalza, che tuttora controllano quasi il 7% del capitale?
Fabio Tamburini