Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2011

“Bisogna guardare oltre i confini per far crescere la nostra isola”

  - La Sicilia

PALERMO. Metti un centro direzionale, il Ceriseli, nato per formare la classe dirigente dell'isola. Un pubblico attento di imprenditori, produttori, politici e studenti universitari. Ed in cattedra, per una lectio magistralis dal titolo "Idee, prospettive e proposte per lo sviluppo della Sicilia", un siciliano "di mare": Gaetano Miccichè, classe 1950, direttore generale di Intesa Sanpaolo dal febbraio del 2010 e amministratore delegato di Banca Imi ma con un lungo curriculum come direttore di finanza o generale di grossi gruppi: dall'ex siciliana Rodriquez (traghettata da periodi di crisi a nuovi mercati) alla Gerolimich-Unione Manifatture alla Olcese spa. Un esperto di finanza ed economia, insomma. Ma anche figlio d'arte di Gerlando Miccichè (con una carriera bancaria conclusa da vicedirettore generale del Bds). E primo di 4 fratelli tra cui Gianfranco, leader di Forza del Sud e sottosegretario alla Presidenza del consiglio. "lo-dice-sono andato via dall'isola ma erano altri tempi. Ora i giovani possono restare e far fruttare qui la propria formazione". Agli imprenditori ricorda invece le parole di Enrico Mattei: "L'imprenditore, diceva lui, ha due doveri e un diritto. I doveri sono: un piano puntuale di business per l'anno in corso; e una strategia a medio periodo. Il diritto? Un sogno nel cassetto".
D. Direttore Miccichè, secondo la sua esperienza di cosa ha bisogno l'isola?
R. "Una ricetta non esiste. Io ho individuato tre linee. Tre parole che possono diventare 'magiche' se adeguatamente supportate: innovazione, internazionalizzazione e dimensione".
D. Partiamo dalla prima.
R. "La scarsa propensione all'innovazione è un nodo centrale non per tutto il Paese che investe in ricerca e sviluppo poco più dell'1 per cento del Pil contro il 4 per cento della Finlandia o il 2 di Germania e Francia. Bisogna fare di più".
D. La Sicilia è debole anche in fatto di internazionalizzazione, però.
R. "Sì. Da uno studio sul grado di apertura internazionale delle regioni italiane redatto da Intesa Sanpaolo e da Srm e che sarà presentato a breve, la Sicilia nel 2010 risulta al 18° posto anche se mostra segnali di decisa crescita sul versante economico e sociale. E poi c'è un'altra questione di fondo: l'internalizzazione oggi non può essere solo delocalizzazione produttiva come è stato negli anni 90. Significa, invece, trovare nuovi mercati, nuove soluzioni logistiche, ricercare le eccellenze nel proprio settore per spunti di nuova competitività".
D. Per tutto questo bisogna però avere dimensioni aziendali tali da rendere riconoscibile l'impresa anche fuori dal proprio contesto...
R. "Certo. Ecco perché il terzo elemento, quello della dimensione è importantissimo, specie in Sicilia con tantissime piccole e medie imprese. I nostri imprenditori hanno spesso sacrificato la crescita dimensionale per mantenere il controllo totale dell'azienda da tramandare da padre in figlio. Questo 'immobilismo proprietario', insieme all'abitudine di fare gli imprenditori con soldi pubblici, ha frenato il rischio di impresa alimentando la frequentazione dei salotti politici e delle sedi associative nazionali, piuttosto che promuovere internalizzazione". A ondate si discute dell'esigenza in Sicilia di ricreare una banca locale. Lei crede che ce ne sia necessità? "Credo che ci sia necessità di istituti bancari che, come Intesa Sanpaolo, abbiano centri decisionali regionali in grado di rispondere in maniera efficiente e efficace ai bisogni del territorio. E che attraverso i loro collegamenti nazionali ed internazionali, sviluppino joint venture, opportunità di conoscenze tra l'isola ed i mondi più avanzati".
 


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