Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2009

“La stagione delle holding è finita”

  - Il Giornale

Milano. La crisi è un'occasione che, nel bene o nel male, spinge l'impresa a scelte straordinarie: a parte le decisioni più drastiche, come quelle legate alla riduzione della produzione, i gruppi guardano alle possibilità di efficienze che provengono da una fisionomia diversa del loro assetto. Si sono già visti esempi in Borsa, per esempio le fusioni Ifi-Ifil, Ciment francais-Italcementi, Alleanza-Toro, tutte operazioni il cui obiettivo, attraverso l'accorciamento della catena societaria, è anche la miglior ottimizzazione operativa. Gaetano Miccichè, responsabile della Divisione Corporate e Investment Banking di Intesa Sanpaolo, è un banchiere con una spiccata sensibilità per il mondo dell'industria, tra gli ispiratori e realizzatori di operazioni di primissimo livello come il turnaround di Alitalia o la ridefinizione del controllo di Telecom, e poi Piaggio, Esaote, Fila e Prada, solo per citarne alcune. Gli chiediamo se questi modelli di riassetto saranno seguiti anche da altri gruppi. «Si vanno eliminando le duplicazioni. Ma al di là delle dispersioni che queste comportano, si può osservare che la Borsa non premia più le holding, che quotano a sconto rispetto al patrimonio netto implicito delle società controllate».
D. Perché questo?
R. «Molte holding sono contenitori di partecipazioni varie, e proprio per questo non vengono pienamente apprezzate. Oggi l'investitore vuole scegliere; rispetto a una holding diversificata si preferiscono aziende con risorse interamente dedicate a specifici business. Maggiore vocazione e separatezza delle attività danno migliori ritorni».
D. Secondo lei ci sono ancora holding da “cancellare”?
R. «Sì, ma non faccio nomi. Gli imprenditori devono anche avere il coraggio di passare da maggioranze assolute a maggioranze relative, e rinunciare a duplicazioni inutili».
D. In questa fase del capitalismo, globalizzato ma sofferente, si modificheranno altri modelli a comportamenti societari?
R. «Vedo un possibile sviluppo nella quotazione in Borse internazionali, geograficamente vicine ai mercati di competenza. Mi sembra realistico che una società possa essere contemporaneamente quotata, per esempio, in Italia, a New York e a Shanghai: oggi le aziende si diversificano già per produzione e distribuzione, e adottano diverse politiche industriali secondo i continenti dove operano. Mi sembra logico che vadano anche a offrirsi e a cogliere opportunità presso gli investitori locali».
D. Le crisi modificano profondamente prospettive e valori, alterando i rapporti di forze e favorendo fusioni o acquisizioni. Fiat-Chrysler insegna. Crede che assisteremo a una nuova stagione di grandi operazioni?
R. «Nel mondo del "merger & acquisiticon" ci saranno modifiche importanti e un diverso ruolo del private equity. Negli ultimi anni le operazioni sono state favorite dalla facilità dei grandi fondi di private equity di accedere ai finanziamenti bancari con leve rilevanti. Si potevano fare offerte a valori di grande effetto. Questo avveniva in un mercato che cresceva in maniera lineare, cosa che non è più: ci sono settori che crescono, altri che crollano. E le banche non sono più disponibili a finanziare acquisizioni con i multipli del passato. Un'azienda che veniva pagata 8-10 volte l'Ebitda, oggi ne vale 4-5. Poi, deve cambiare anche l'approccio dei fondi di private equity».
D. In che senso?
R. «Il loro management era abituato a percorsi di crescita costanti. Oggi dovrà affrontare problemi diversi sia sulle operazioni già impostate e bisognose di verifiche, sia su quelle nuove. Occorrerà più flessibilità, anche nei tempi di uscita, che resta comunque l'obiettivo finale di questo tipo d'investimenti».
D. Vuol dire che ci saranno meno operazioni?
R. «Meno M&A e meno Opa finanziate a debito e, quelle che vedremo, saranno legate a particolari opportunità. Comunque si viene da anni buoni, le risorse ci sono».
D. L'Italia non è fatta solo di grandi gruppi, ma soprattutto di piccole e medie imprese, che ne costituiscono la vera forza economica. Spesso, a dispetto delle dimensioni, sono anche multinazionali. Che evoluzione vede in questo segmento?
R. «Per Intesa Sanpaolo le piccole e medie imprese rappresentano un obiettivo vitale di assistenza ordinaria e straordinaria. Se riusciremo, banche e imprenditori, a comprendere di più le reciproche posizioni potremo assistere a una nuova e importante stagione di crescita».
D. Banca e imprenditore, a essere franchi, si sono sempre misurati con reciproco sospetto.
R. «Sì, spesso le banche pronte a ritirare le linee e gli imprenditori portati a far solo di testa loro. Occorre invece, come detto, un colloquio costante e maggiore disponibilità da entrambe le parti».
D. In questo periodo c'è stato un aumento nelle richieste di finanziamenti?
R. «Non particolare. L'utilizzo delle linee di credito rispetto a quelle accordate consente un buon margine per finanziare nuove intraprese».
D. Perché le banche italiane si sono rivelate, alla luce dei risultati del 2008, tra le migliori del mondo?
R. «Me lo lasci dire: perché sono guidate bene e contano su azionisti stabili, come le Fondazioni. Hanno una cultura che considera centrale il cliente e che rispecchia logiche di medio-lungo periodo. In altre parole: management, modello organizzativo, regole e sani principi contabili. Non hanno cercato risultati straordinari a breve, possibili solo accollandosi rischi che poi possono rivelarsi pericolosi, come si è visto. Le Autorità di controllo e vigilanza, poi, hanno svolto in maniera seria e attenta il loro ruolo».
D. Ci sono però i Tremonti bond…
R. «Ma nessun istituto italiano ha problemi di liquidità o di perdite. Da noi non c'è stata alcuna emergenza, come in Germania, in Gran Bretagna, in Irlanda, in Belgio, in Olanda o negli Stati Uniti».
 


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