Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2008

“La banca? Deve essere partner delle aziende”

  - Gazzetta di Parma

Tredici città. Uno spettacolo. Centinaia di storie di imprenditori che si i n trecciano, sul palco e soprattutto i n platea. Intesa Sanpaolo sceglie una strada diversa per raccontare il suo modo di stare vicino ai clienti che contano, quelli «corporate», che fatturano almeno 150 milioni di euro. Le banche del resto hanno bisogno - più di tutto - di fiducia, perché i mercati ne hanno poca, le crisi fanno paura, le responsabilità anche del mondo del credito fanno male. Lo sanno bene qui a Parma, teatro del processo finanziario più eclatante della nostra storia, targato Parmalat, che ha coinvolto i colossi del credito, dall'empireo di Wall Street fino a casa nostra. Gaetano Miccichè è l'uomo che Corrado Passera, nel 2002, ha voluto al comando della divisione corporate di Intesa. E' un uomo che conosce le banche, ma è un manager che è stato anche dall'altra parte del tavolo: Rodriquez, Olcese, Gerolimich... Siciliano, 57 anni, è lui a incontrare gli imprenditori di Parma. Ed è l'occasione per tastare il polso alla prima banca del Paese. E, forse, anche al Paese.
D. Partiamo da Intesa Sanpaolo. Che gruppo è oggi?
R. Un gruppo diviso in tre grandi categorie: retali e pmi , con 17 milioni di clienti nel mondo e 6.050 filiali in Italia; poi c'è la divisione che segue la pubblica amministrazione, dagli enti locali alle partecipate ai main contractor dimostrando di voler costruire qualcosa per il Paese introducendo una logica "aziendale" anche nel pubblico; e poi c'è il corporate: aziende industriali, commerciali, fondi, assicurazioni, tutti i clienti con un fatturato oltre i 150 milioni di euro, insomma.
D. E a loro cosa dite? Perché vi rivolgete con uno spettacolo teatrale?
R. La nostra filosofia è quella di non fermarsi alle esigenze ordinarie, ma piuttosto vogliamo vivere con il cliente, trovare delle idee insieme a lui, trasformarci di giorno in giorno nel partner per innovare, internazionalizzare, finanziare con prodotti specifici, diventiamo merchant bank e investment bank. Noi conosciamo il mercato e la concorrenza, studiamo insieme e ci rendiamo disponibili per crescere. Un giorno con un'acquisizione, un altro con una joint venture.
D. Le imprese, dunque, hanno bisogno di un'iniezione di fiducia...
R. In realtà di fronte a idee valide noi abbiamo dimostrato di essere pronti a investire. Come merchant bank abbiamo investito 2,5 miliardi di euro in diverse partecipazioni, da Telecom a Generali, da Prada a Pirelli RE, da Sigma-Tau a NH Italia.
D. Nel segno dell'italianità?
R. Nel segno del mercato. La nostra filosofia è quella di accompagnare le aziende importanti per il Paese per farle crescere. Abbiamo 7 milioni di clienti nel mondo e non c'è da vergognarsi se aziende italiane come Esaote sanno fare ricerca e innovare, ma non crediamo che solo l'italianità sia meritevole di un supporto.
D. Interventi mirati, insomma?
R. Quando una persona sta poco bene non va in farmacia, ma dal medico, che prescrive il farmaco adatto. Noi vorremmo essere a fianco delle imprese per suggerire e consigliare agli imprenditori le migliori iniziative da intraprendere e non limitarci ad offrire servizi e prodotti.
D. Perché tale tappa proprio a Parma con uno spettacolo che racconta lo spirito delle imprese?
R. Le province sono importanti nel nostro Paese e non è stato facile individuarne 13. Abbiamo scelto quelle più virtuose, capaci di rappresentare il meglio dell'Italia, come Brescia - da cui siamo partiti - che è un esempio nell'export. A Parma ci sono aziende di grande importanza per il Paese.
D. C'è anche una banca importante, Cariparma, che fino a poco tempo fa batteva la bandiera di Intesa e non quella del Crédit Agricole.
R. E' stata una scelta sofferta cedere Cariparma, era una delle nostre migliori banche, gestita benissimo. Chapeau al management, che infatti è rimasto lo stesso.
D. E Parmalat? Intesa ha transato a fine 2007 e resta uno dei grandi azionisti. Come di Granarolo, di cui ha il 20%. Si vocifera che ci sia la regia di Intesa dietro un possibile matrimonio tra i due marchi.
R. Con Granarolo il discorso da fare è più ampio: c'era da salvare Yomo e pensavamo che una banca come la nostra dovesse fare qualcosa. Diciamo che siamo abituati a sedere a capo tavola nelle operazioni importanti che hanno dato risultati positivi: Piaggio, Impregilo, Fiat, Edison, Granarolo.
D. Ma il discorso con Parmalat?
R. Un paio d'anni fa, quando ancora non si conosceva esattamente che strada avrebbe imboccato Parmalat c'erano state valutazioni su un'eventuale operazione con Granarolo. Allora avrebbe avuto più senso parlare di un'aggregazione tra le due realtà.
D. A proposito di Parmalat. E' uno degli argomenti preferiti di chi accusa le banche. C'è una crisi di fiducia nella gente verso gli istituti di credito?
R. Faccio un esempio. Noi abbiamo centomila dipendenti: è quasi impossibile trovare centomila persone tutte con le stesse attitudini. Possono esserci stati degli errori, è inevitabile ma il supporto di una banca dipende tutto dal modo di proporsi. Quello che conta, da parte di tutti, è credere in ciò che si fa anche guardandoci intorno. Non è raro sentire imprenditori che parlano di buone prospettive della propria azienda, ma sono sfiduciati sul sistema. Serve maggior fiducia reciproca. E più impegno.
D. Quando finirà la crisi innescata dai mutui subprime? E come ha reagito il sistema bancario italiano?
R. Le banche italiane hanno dimostrato di controllare con molta attenzione gli asset, quindi l'impatto è stato più lieve rispetto ad altre realtà.
D. Le aziende in Italia sono ancora sottodimensionate?
R. Non c'è necessariamente il sillogismo crescita uguale virtù. Però è indubbio che senza le dimensioni ottimali non ci sono risorse per investire. Quando noi proponiamo ad aziende di unirsi è proprio per questo, perché anche i nostri big quando arrivano sui mercati mondiali trovano competitors enormemente più grandi.

 


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