Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2006

Gaetano Miccichè. Grande ascesa da bancario a banchiere

  - Giornale di Sicilia

D. Facciamo le presentazioni.
R. “Gaetano Miccichè, 55 anni, appartenente ad una famiglia della borghesia palermitana. Papà, mamma, quattro figli maschi. Sono nato in piazza Castelnuovo. Poi il trasferimento in viale Campania. La mia è stata un’infanzia senza problemi in una famiglia serena, circondata da tanti amici e con forti relazioni sociali”.
D. Quando ha lasciato Palermo?
R. “Il distacco è cominciato nei primi anni ’80. Già lavoravo alla Siciliacassa ed ero uno dei funzionari più giovani. Nel 1983 andai a Milano per partecipare all’Mba della Bocconi, un master di quattordici mesi. Tornai in banca ma durò poco. Mi attraeva molto la prospettiva di affrontare i confronti, le incertezze ma anche le possibili gratificazioni di una attività manageriale in un’azienda provata”.
D. Suo padre Gerlando era vice direttore generale del Banco di Sicilia: che cosa le disse?
R. “Mi invitò a riflettere. Mi consigliò di consultarmi con due amici molto saggi: Guido Savagnone, allora direttore generale del Banco di Sicilia, e l’avvocato Vito Guarrasi. Entrambi mi sottolinearono l’importante differenza tra un impiego sicuro in una banca come la Sicilcassa, allora considerata solidissima, e le difficoltà che avrei incontrato confrontandomi con le incertezze del settore privato e quello che loro vedevano come l’umore volubile degli imprenditori. Nessuno dei due, però, mi bloccò. Tante volte mi è tornato alla mente quell’episodio per me emblematico della casualità dei destini di ciascuno di noi. Avevo promesso a me stesso che se uno dei due, oppure mio padre, mi avesse consigliato di restare l’avrei fatto. Per fortuna non accadde”.
D. Perché fu tanto importante quel master alla Bocconi?
R. “Perché ebbi modo, per la prima volta, di confrontarmi con persone di diversa formazione, provenienti da altri percorsi, e anche di diversa nazionalità. Il corso era molto competitivo. Ogni partecipante era un “avversario d’aula” per tutti gli altri. Fatto sta che lo conclusi a pieni voti conquistando anche l’attestato di merito”.
D. Poi tornò a Palermo.
R. “Certo. Però avevo la consapevolezza di aver lasciato a Milano la mia vera ricchezza. Che non erano tanto le opportunità di carriera quanto un bagaglio di conoscenze, di amicizie e di rapporti stimolanti di prim’ordine tra professori, banchieri, manager. Ho sempre considerato che per uomini che hanno scelto le logiche del mercato e della competitività siano più importanti i rapporti conquistati con la stima che non il conto in banca. A mio parere è un grande elemento di forza sapere di avere in tasca un elenco ricco di numeri di telefono di persone che ti apprezzano a cui potere eventualmente rivolgersi”.
D. Che cosa vuol dire?
R. “Ricordo che ai tempi (ancora privi di palmari) lavoravo con una agenda “president”, di quelle di cui si conosceva la copertina ed ogni anno si cambia il contenuto. Nella prima pagina di sinistra immancabilmente segnavo i nomi e numeri di personalità conosciute. Per fortuna non ne ho mai avuto bisogno. Confesso che averlo mi ha dato serenità e mi ha consentito di essere sempre me stesso”.
D. Ha mai pensato al rientro?
R. “All’inizio degli anni ’90 mi prospettarono una opportunità di rilievo al Banco di Sicilia. Confesso che ci pensai molto. Poi, però, il discorso non ebbe seguito. Ancora una volta era stato il destino a decidere”.
D. Il ricordo migliore dei suoi anni a Palermo?
R. “Parliamo di anni più che giovanili e di episodi sui quali sorridere. Ogni anno il Gonzaga organizzava il ritiro per gli esercizi spirituali a Villa San Cataldo a Bagheria. C’era una forte disparità tra l’abito mentale serio e compunto che ci veniva imposto dalla solennità dell’appuntamento e la baldoria che organizzavamo fra noi ragazzi. Soprattutto la notte quando ci ritiravamo nelle stanze buie e anche molto fredde perché non c’era nemmeno il riscaldamento”.
D. I compagni di allora?
R. “Agostino Randazzo, Piero Alicò, Carlo Costamante, Ferruccio Barbera, Mario Serio, Francesco Orlandi, i fratelli Maniscalco. Le prime  Muratti fumate di nascosto uscendo a turno dalla processione della Via Crucis. Il momento peggiore della giornata era comunque l’ora della merenda quando ci veniva offerta una immangiabile cotognata”.
D. Tre desideri.
R. “Il primo: trasferire a Palermo la pragmaticità, il senso del dovere, e soprattutto la capacità di valorizzare le migliori risorse umane, caratteristiche dei Paesi che crescono. Bisognerebbe metterli a servizio di una città magica che deve uscire dal torpore e imparare a guardare gli esempi migliori. Purtroppo negli ultimi vent’anni è stata privata di strategia di crescita sociale e industriale. Il secondo sulla salute: spero che si continui nella positiva strada già intrapresa relativa alla realizzazione di nuovi centri medici di eccellenza da aggiungere a quelli già esistenti. Non vorrei più sentire la vecchia frase secondo cui il miglio medico di Palermo è il primo aereo per Milano. Terzo desiderio più sportivo: mi piacerebbe che Agostino Randazzo armasse una barca per vincere la Coppa America con un equipaggio e sponsor siciliani”.
D. Come fare?
R. “Bisogna favorire la nascita e lo sviluppo di aziende industriali che abbiano il radicamento in Sicilia. I momenti decisionali e organizzativi devono avere un forte radicamento locale. Sono molto più utili di quegli insediamenti, i cui quartier generali stanno a Milano, Padova, Torino, o Londra. Bisogna creare centri decisionali che possano sviluppare nuove iniziative utilizzando le numerose risorse della Sicilia. Ciò vale per le industrie, i servizi, il commercio e tutto ciò che può generare occupazione e ricchezza”.
D. Suo fratello Gianfranco, vista la carica istituzionale, può giocare un ruolo importante in questo senso.
R. “Sono legatissimo e molto orgoglioso di tutti e tre i miei fratelli. Gianfranco è quello che più si è impegnato, a livello nazionale, per cambiare le regole del gioco in un Paese che necessitava di modernità e managerialità, e credo che abbia fatto molto bene. Ora ha a disposizione una grande opportunità per contribuire fattivamente alla crescita della Regione, con un ruolo sì istituzionale, ma anche di indirizzo politico. Sono certo che Gianfranco lavorerà con equilibrio, e con la tenacia e l’impegno che hanno sempre caratterizzato la sua attività, per far emergere quanto di buono c’è, e non è poco, nella nostra terra”.


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