Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2018

Intervista a Gaetano Miccichè: Goal miliardari

  - Prima Comunicazione

 

Gaetano Miccichè, presidente della Lega Serie A, ha grandi progetti per fare del calcio, 4 miliardi di fatturato diretto e 15 di indotto, una delle prime industrie italiane. 
Come? Gestione diretta di diritti e sponsorizzazioni, attività commerciali centralizzate, promozione della Serie A sui mercati internazionali. E diventare produttori e distributori dei contenuti.

Nel suo ufficio al secondo piano della sede di Banca Imi nella milanese via Manzoni, Gaetano Miccichè tiene sulla scrivania un fermacarte di cristallo a forma di mezza sfera con all'interno serigrafata la scritta 'RITMO', acronimo di responsabilità, integrazione, tempestività, motivazione e originalità. 
Cinque lemmi che il banchiere palermitano ha voluto introdurre come ispirazione per la sua squadra di lavoro quando nel 2002 era stato chiamato da Corrado Passera, all'epoca amministratore delegato di Banca Intesa, per occuparsi della divisione corporate dell'istituto di credito. 
Ora Miccichè è presidente di Banca lini, la banca d'investimento del gruppo Intesa che presiede
da quattro anni. Da qualche mese la sigla 'RITMO' è il mantra che dovrebbero tenere bene a mente al quartiere generale della Lega Serie A in via Rosellini, dove Miccichè è stato eletto presidente a fine maggio su spinta del commissario straordinario Giovanni Malagò, lider maximo del Coni che, per far fronte all'impasse creatosi per contrasti tra i soci, si era fatto carico anche della Lega.

Il calcio ha sempre fatto parte della vita di Gaetano Miccichè. Lo zio Luigi, fratello del padre Gerlando (vice direttore generale del Banco di Sicilia), è stato consigliere del Palermo negli anni Cinquanta. E il fratello Guglielmo ha ricoperto a lungo l'incarico di vice presidente del club rosanero durante la gestione Zamparini.

Adesso Miccichè guida la cosiddetta Confindustria del pallone, l'associazione che riunisce i 20 club professionistici del principale campionato italiano. Tra questi, il Torino di Urbano Cairo, presidente di Rcs MediaGroup, azienda nella quale Miccichè ha un posto da consigliere in Cda. A vederlo nel suo elegante e sobrio ufficio di Milano, alle cui pareti stanno appesi pochi ma preziosi e bellissimi quadri d'arte moderna, rigoroso nel suo completo grigio scuro, non ci si riesce a capacitare che questo banchiere con un passato da manager industriale abbia deciso di condividere la sua vita con un mondo turbolento e un po' psicotico come quello del calcio.
Per cui la prima curiosità da soddisfare, proprio per dare il via all'intervista, è capire con chi si ha a che fare, perché il modello del passato sfuma davanti al presente. Considerando poi che Miccichè, pur appassionato di sport e di calcio, non è di quelli che prendono l'aereo per correre dietro alla squadra del cuore in trasferta.

Prima - Come è nata questa candidatura in un mondo in cui lei non ha mai aveva niente a che fare?

Gaetano Miccichè - Conosco da anni Giovanni Malagò anche se non facciamo weekend o vacanze insieme. E ho sempre considerato con ammirazione il suo essere una persona positiva e ottimista. A febbraio di quest'anno mi ha chiesto di pranzare con lui a Milano. Non immaginavo il motivo di
quell'incontro in cui mi ha detto che sarei stato il presidente ideale della Serie A.

Prima - Ha accettato subito?

G. Miccichè - Sì e con una certa disinvoltura, benché non sapessi come fosse organizzato il calcio. Non sapevo cosa fosse la Lega e cosa facesse la federazione. Mi sono reso conto dopo di cosa volesse dire questo incarico. Ho posto solo due condizioni: non avrei accettato se la Lega non fosse stata a Milano e volevo essere eletto all'unanimità. E riservandomi di verificare con il mio amministratore delegato Carlo Messina se un incarico del genere fosse compatibile con l'incarico a Banca Imi.
Avevo fissato subito un incontro il giorno dopo ma venni bruciato da Malagò che rivelò il mio nome ai giornalisti presenti alla Lega al termine di un'assemblea tenutasi nel pomeriggio.
Messina mi diede comunque il via libera, d'altronde il calcio come altri sport rappresenta anche un grande valore.

Prima - Che cosa ha capito del mondo del calcio dopo questi primi mesi di presidenza?

G. Miccichè - Ho consolidato la mia convinzione che rappresenti un potenziale enorme. In Italia 30 milioni di persone sono interessate al calcio. Il 55% dei ragazzi sotto i 15 anni gioca a pallone. I tesserati alla Figc sono 1,5 milioni.
Il calcio paga 1,1 miliardi di curo di tasse allo Stato. Ha un fatturato diretto di 4 miliardi e un indotto di 15 miliardi.
Stiamo parlando di uno dei settori industriali più importanti del Paese. Ormai non riesco a fare un incontro di lavoro senza parlare di calcio nei primi dieci minuti. Sono presidente di Banca Imi da quattro anni, ma tutti hanno iniziato a chiamarmi 'presidente' da quando guido la Serie A.
C'è un entusiasmo enorme.
Non capisco perché tutti non smettano di chiedermi se non penso di avere fatto una pazzia a dedicarmi alla Lega.

Prima - Diciamo che il calcio italiano non gode di buona fama, soprattutto a livello manageriale.

G. Miccichè - È vero, non ha una grande reputazione.
In parte motivata, ma in parte frutto di un passaparola malevolo. Invece sarebbe giusto far capire che le cose stanno cambiando in meglio.

Prima - Su cosa bisogna intervenire?

G. Miccichè - Mi sono reso conto subito di una cosa: le regole e il rispetto per gli altri erano in disuso in questo mondo, per usare un eufemismo. Devo relazionarmi con 20 presidenti e i rispettivi ad.
Sono quasi tutti imprenditori di successo: da Agnelli a Cairo, da Della Valle a De Laurentiis, da Percassi a Preziosi e Pallotta. Ognuno nel suo campo dimostra competitività e decisione. E sono un po' diffidenti tra loro. A volte reagiscono alle proposte di cambiamento chiedendosi prima di tutto se favorisca uno a svantaggio dell'altro. E sono tifosi: qualcuno è arrabbiato per il rigore contro, un altro perché l'allenatore sta andando male e magari si guardano male perché il collega ha comprato sul mercato proprio il calciatore che voleva lui. Se metti tutto questo in uno shaker, lo shaker esplode. Esce fumo.
A questo ragionamento bisogna aggiungere due elementi.

Prima - Quali?

G. Miccichè - La singolarità di avere 20 azionisti che pesano tutti in modo uguale per il 5% pur essendo diversissimi tra loro per fatturato, obiettivi e storia. Sono sullo stesso piano: chi ha vinto 30 scudetti e ha un pubblico da 7Omila persone allo stadio con chi ha orizzonti decisamente più contenuti. È come volere mettere insieme uno che vuole andare al ristorante a mangiare aragoste e bere champagne con chi cerca pane e salame. Difficile trovare un locale che accontenti entrambi. 
Da qui nasce la diffidenza di fondo di cui parlavo prima.

Prima - E il secondo elemento?

G. Miccichè - In Italia la Lega è destrutturata. Ha poco più di una trentina di dipendenti. La Liga spagnola ne ha oltre 300. La Premier League inglese più di 200. Questa destrutturazione ha fatto sì che la Lega diventasse un punto di incontro più che un vero soggetto capace di assumere decisioni. In via Rosellini ci sono professionisti eccellenti ma sono pochi: non avete idea del numero di problemi da risolvere ogni giorno.

Prima - Talvolta anche le conseguenze di seri problemi del Paese.

G. Miccichè - Sì. L'esempio più evidente è rappresentato da quello che è successo dopo il crollo del ponte Morandi a Genova ad agosto. Una tragedia assoluta, in cui il mondo del calcio ha dovuto prendere decisioni difficili sotto una grande pressione.
Il presidente della Sampdoria ha subito chiesto di rinviare Sampdoria-Fiorentina. Contemporaneamente è iniziato il balletto delle dichiarazioni politiche su quello che avrebbe dovuto fare il calcio: fermarsi, giocare o sospendere solo la partita a Genova. Un politico diceva una cosa, l'altro esattamente il contrario. Uno mi chiedeva di giocare, l'altro di non giocare. È giusto piangere per un lutto così drammatico, ma perché si deve fermare solo il calcio, mentre banche, ristoranti, hotel, aeroporti, stazioni e discoteche restano aperti? Mi sembra un'ipocrisia.

Prima - Può essere il risvolto della valenza sociale sempre più ampia che sta assumendo il calcio.

G. Miccichè - Però, ampliando il discorso a prescindere dal caso specifico, bisogna chiedersi che cosa sia la Serie A. È uno sport o è un'industria? L'ho chiesto ai presidenti nel corso di un'assemblea. E ho risposto che, se pensano che sia solo uno sport, non hanno bisogno di me. Ci rendiamo conto dei numeri? A Verona per la prima giornata di campionato c'erano centinaia di giornalisti accreditati da tutto il mondo per vedere il debutto di Cristiano Ronaldo con la maglia della Juventus. 
E le tv ci danno quasi un miliardo all'anno per questo. Ma non c'è nulla di scontato in queste entrate perché ormai i network sono internazionali e rischiamo che possano tranquillamente fare a meno del nostro campionato.

Prima - Quindi la Serie A diventa solo un contenuto in mezzo a tanti altri?

G. Miccichè - Sì, contano sempre di più i player internazionali. E il centro decisionale si allontana sempre di più dall'Italia. Faccio un esempio: Sky è stata acquistata da Comcast il cui quartier generale è a Filadelfia. Alla guida di questo gruppo c'è un manager che viene giudicato in termini di capitale investito e ritorno sugli investimenti. Questi signori a Filadelfia non sanno nemmeno di che colore è la maglia di Inter, Juventus, Milan o Torino. 
Investono in cinema, telefonia, telecomunicazioni e tv. E in tv hanno film, serie e sport. Gli sport sono golf, tennis, motori, Nba e calcio. E nel calcio hanno i campionati tedesco, spagnolo, inglese, francese e italiano. Sono di fronte a opportunità plurime e noi siamo solo una di queste opportunità. Per questo dobbiamo fare di tutto per offrire il miglior servizio possibile dando
certezze alle televisioni senza modificare orari o date. 
Abbiamo una responsabilità verso tutto il calcio italiano al di là della Serie A.

Prima - In che senso?

G. Miccichè - Le squadre delle categorie inferiori dipendono in maniera significativa dalla mutualità di sistema sul 10% dei diritti tv della Serie A. Significa che fondamentalmente il mondo del calcio italiano, con quei numeri pazzeschi elencati prima, sta in piedi in larga parte grazie a questa voce pari a circa 130 milioni. E noi ce la procuriamo per lo più tramite realtà internazionali: Sky, Dazn (Perfornir) e Img, che è il broker aggiudicatario dei diritti esteri, anche se la Rai continua a seguirci su tante iniziative. Sponsorizzazioni e biglietteria seguono a una certa distanza. Nessuno ci regala niente. Dobbiamo andare a cercare questi ricavi in giro per il mondo.

Prima - Anche in Arabia Saudita con una Supercoppa italiana diventata caso diplomatico dopo il barbaro assassinio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul?

G. Miccichè - Abbiamo firmato un contratto che prevede la disputa di tre edizioni nei prossimi cinque anni in Arabia Saudita per un corrispettivo di 7 milioni a stagione. Ragionando in modo non emotivo ho telefonato all'ambasciatore italiano a Riad che mi ha detto di non vedere motivi per non giocare. Mi ha spiegato che l'Arabia Saudita è il Paese del Medio Oriente e Nord Africa con il quale l'Italia ha il maggior livello di scambi commerciali, aziende italiane di primissimo livello operano in Arabia Saudita. E nella vicenda non sono stati coinvolti cittadini italiani.

Prima - Però ne parla tutto il mondo.

G. Miccichè - Se rompessimo il contratto, prenderemmo una posizione diversa da quella di tutto il sistema economico e politico italiano. E la Lega Calcio non fa politica. Senza dimenticare che, pochi giorni prima che chiamassi l'ambasciatore, a Gedda hanno giocato in amichevole Argentina e
Brasile. Gli ultimi Mondiali di calcio sono andati in scena in Russia e i prossimi si disputeranno in Qatar. Parliamo di Paesi che hanno a loro volta problemi di giornalisti assassinati e diritti umani non rispettati.

Prima - Cosa ne pensa della proposta di sospendere le partite di fronte a cori offensivi lanciata da Carlo Ancelotti?

G. Miccichè - È un problema molto complesso.
Se sospendo una partita dopo dieci minuti e devo evacuare uno stadio con 40mila persone, il rischio di sommosse è gigantesco. Non vogliamo correre questo pericolo.
Ho proposto a Gabriele Gravina (presidente della Figc: ndr) di convocare i capi delle tifoserie delle 20 squadre di Serie A.
Forse sono un illuso, ma bisogna fare qualcosa altrimenti questo mondo rischia di finire. Diventa un oligopolio in mano a pochi soggetti dotati di troppo potere. Anche i calciatori sono difficilmente gestibili sotto qualche profilo.

Prima - A cosa si riferisce?

G. Miccichè - La vicenda della fascia da capitano, ad esempio. Una commissione della Lega aveva deciso all'unanimità di utilizzare una fascia da capitano unica senza più personalizzazioni. Alcuni calciatori non ne volevano sapere di adeguarsi. L'unica squadra che aveva le sue ragioni era la Fiorentina che voleva conservare la fascia dedicata al ricordo del capitano Astori, stroncato a marzo da un problema cardiaco. Per questo abbiamo concesso una deroga. Ma per il resto questa storia ha evidenziato i problemi dei dirigenti nella gestione dei loro calciatori più rappresentativi.

Prima - Come intende modificare la struttura della Lega?

G. Miccichè - È venuto il momento di ridurre i servizi in outsourcing, non perché non ami le consulenze. Ma perché credo che i valori di un'azienda si creino quando entrano le persone alle 8,30 e sai dove trovarle nell'arco della giornata. In banca mi rivolgo ai consulenti di McKinsey, ma poi è l'azienda che mette in pratica la strategia. Negli ultimi anni la Lega ha avuto un rapporto molto forte con Infront. Ma ora è necessario portare tutto all'interno, senza avere nulla nei confronti di Infront. Con le risorse liberate sarà possibile chiamare 20-30 ragazzi o ragazze, signori o signore, capaci di parlare inglese, cinese, tedesco o spagnolo per creare relazioni con il mondo dei broadcaster, di Internet e degli sponsor. 
Nell'ultima assemblea ho presentato un piano industriale volto ad aumentare le sponsorizzazioni centralizzate e la presenza della Serie A all'estero. Ma ho lasciato in bianco le ultime pagine perché deve essere il futuro amministratore delegato a riempire il conto economico prospettico.

Prima - Quanto manca alla scelta dell'ad dopo i primi colloqui con Alessandro Araimo, Matteo Mammì e Luigi De Siervo?

G. Miccichè - Dovremmo farcela entro metà dicembre. La commissione creata in Cda proporrà i nomi, poi toccherà all'assemblea scegliere e dovrà essere un nome apprezzato dalla stragrande maggioranza, capace di aggregare un vero consenso. Sino a oggi è stato Marco Brunelli ad agire come ad, con grande apprezzamento di tutti.

Prima - State risolvendo il problema della restituzione dell'acconto di 64 milioni versato da Mediapro?

G. Miccichè - È una vicenda complessa che stiamo cercando di definire al meglio. Il contratto firmato con gli spagnoli prevedeva una penale nel caso del mancato raggiungimento degli obiettivi. Noi possiamo dire che, avendo venduto a una cifra inferiore a 1,05 miliardi, la somma offerta da Mediapro, abbiamo subito un danno.
Gli spagnoli possono ribattere che non è vero perché la cessione a Sky e Dazn prevede bonus in grado di farci andare oltre gli 1,05 miliardi.

Prima - Il canale tv della Lega sarà il futuro a partire dal 2021?

G. Miccichè - 11 termine 'canale' non è corretto. Dobbiamo lavorare stilla produzione senza delegare a tino o più broadcaster. Il tema è: cosa faremmo nel caso in cui Sky decidesse di non comprare più i diritti, per i motivi indicati in precedenza? Potrebbe essere meglio avere 30 milioni di clienti finali anziché due network? Potrebbe convenire creare un nostro prodotto e venderlo a varie piattaforme in modo da conoscere meglio la segmentazione del mercato con ricadute positive anche per le politiche commerciali dei club. Era lo stesso approccio di Mediapro. Ma i tempi erano troppo stretti. 
Sarebbe dovuto succedere tutto da aprile ad agosto. Adesso invece possiamo studiare senza ansia. Il 2019 sarà dedicato ad approfondire questi aspetti con il nuovo ad.

Ravetta Alessandra - Scacchi Stefano​


< torna all'elenco