Gaetano Miccichè

Rassegna stampa 2004

Più feeling con gli imprenditori

  - Banca Finanza

Sulla sua scrivania passano i dossier che riguardano il futuro delle principali aziende italiane, dalla Fiat a Pirelli, alla Piaggio, tanto per fare solo qualche nome. Gaetano Micchichè, 54 anni, un’esperienza di risanatore di aziende (l’ultimo incarico riguarda il gruppo Olcese), grazie a Corrado Passera è passato dall’altra parte del tavolo ritornando alle origini visto che il primo impiego fu alla Cassa di Risparmio a Palermo. Dal maggio 2002 Passera l’ha preso in Intesa alla guida del merchant banking, responsabilità ampliata a ottobre scorso col large corporate al quale si è aggiunta prima dell’estate la finanza strutturata. Miccichè occupa in piazza Scala, nella sede monumentale della ex Comit, la stanza che fu di Pietro Grandjacquet ed Enrico Beneduce (nipote di Enrico Cuccia), due degli ultimi amministratori delegati della banca negli anni Novanta. È in maniche di camicia rigorosamente bianca come la cravatta sempre blu, seduto al tavolo riunioni dominato da un quadro di Inganni raffigurante piazza Scala innevata.
Domanda. Cominciamo dalla domanda più semplice: esattamente, la sua divisione di che cosa si occupa?
Risposta. Le aree assegnatemi rappresentano una significativa parte della divisione corporate e soprattutto racchiudono alcune fra le migliori professionalità. Il merchant banking contiene le partecipazioni strategiche (Olimpia, Italenergia bis,  Fidis, Rcs), il private equity, mentre il large corporate e la finanza strutturata gestiscono le relazioni con i grandi clienti e forniscono agli stessi servizi più innovativi e moderni. I risultati di quest’ultimo anno si sono potuti realizzare grazie anche alla stretta collaborazione col direttore generale crediti Pierfrancesco Saviotti, con il quale ci si confronta su tutte le operazioni.
D. Vuol dire che Banca Intesa, a differenza di altri istituti di credito, ha deciso di tenere la banca d’affari all’interno della struttura invece di creare una realtà autonoma: non c’è il rischio di esaltare i conflitti d’interesse?
R. Non credo. Altre banche hanno creato delle strutture autonome ma, normalmente, sono controllate al 100% e nei consigli d’amministrazione compaiono i vertici della casa-madre. Quindi non vedo grandi differenze rispetto alla nostra organizzazione. Inoltre, alle dipendenze della mia direzione ci sono Caboto e Nextra che lavorano in assoluta indipendenza e autonomia.
D. E il conflitto d’interesse?
R. Non dipende dalla struttura organizzativa. Quello che conta sono gli uomini, la loro capacità, la professionalità di cui sono portatori.
D. Intesa e Lazard sono partner strategici e la joint venture operativa si sviluppa attraverso la direzione che lei gestisce. Non c’è competizione?
R. C’è una grande integrazione tra le professionalità, e il ruolo di advisory svolto da Lazard è del tutto complementare con i prodotti e servizi di Intesa. Rispetto al passato abbiamo aggiunto un significativo ampliamento alla gamma di opportunità offerte alla clientela large corporate della banca.
D. Su quali settori puntate per lo sviluppo?
R. Stiamo lavorando sul settore immobiliare. Banca Intesa, grazie alla tradizione di Cariplo, è molto forte nel settore dei mutui. Si tratta di “small business”. Ora vogliamo sviluppare il settore della finanza immobiliare dedicata alle imprese. L’attività attuale è molto tradizionale. Il costruttore manda avanti i lavori e ottiene i finanziamenti in base agli stadi di avanzamento. La garanzia è offerta dall’ipoteca sul bene. In questa funzione la banca svolge solo un ruolo passivo. Invece noi vogliamo diventare dei consulenti dell’impresa, offrendo un servizio completo. Per esempio: se il progetto riguarda un albergo lo aiutiamo a capire dove va fatto, come va fatto, in quale categoria, con quali accorgimenti per rendere l’attività più efficiente.
D. Una merchant bank dedicata principalmente alle imprese di minori dimensioni fa parte dei vostri progetti?
R. In realtà l’abbiamo già realizzata. Si chiama I 2 Capital ed è nata all’inizio dell’anno. È frutto di un accordo tra Banca Intesa e la Inetek, finanziaria quotata in Borsa di cui è presidente Vincenzo Manes. L’obiettivo è quello di focalizzarci sulle cosiddette special situation. Cioè la gestione dinamica di partecipazioni di minoranza e crediti in aziende che hanno business valido e buona posizione di mercato ma soffrono su altri fronti: troppi debiti, contrasti tra soci, taglia insufficiente. Nel portafoglio di I 2 Capital ci sono aziende come la Idrapresse, società meccanica di Brescia, che era quotata in Borsa e poi è uscita per affrontare meglio la ristrutturazione, la Tekno (mobili), Delta (sedie), Car World, una delle più grandi imprese italiane nel campo del leasing automobilistico (650 milioni di euro di fatturato), e Ducati energia di Bologna. Il compito di I 2 è quello di risanarle, offrendo capitale e management. Conclusa la ristrutturazione le ricollochiamo sul mercato.
D. Stiamo parlando, però, di situazioni di crisi. La prima necessità delle aziende minori è quella di crescere.
R. Anche noi vogliamo che si sviluppino. Abbiamo in portafoglio undicimila relazioni nel campo del cosiddetto mid market. Non ci limitiamo a finanziarle. Mettiamo loro a disposizione le nostre conoscenze, la rete estera della banca e tutti quei servizi che servono alle aziende per sviluppare il loro business.
D. Un esempio?
R. Abbiamo appena aperto una rappresentanza a Mosca, per facilitare lo sbarco delle aziende italiane in quel mercato. Lo stesso vale per Hong Kong che costituisce la porta d’ingresso verso la Cina. Insomma, cerchiamo di offrire un servizio di cui le imprese minori hanno bisogno e le grandi un po’ meno.
D. Che cosa vuol dire?
R. I grandi gruppi hanno le loro strutture e i loro uffici con gente molto preparata. Sanno quello che vogliono e cercano solo la banca in grado di soddisfare le loro richieste. Nelle imprese di minori dimensioni tutto questo non accade. Vengono da noi non solo per chiedere capitali ma anche per ottenere consigli sulle scelte da fare, sui mercati da aggredire, sulle strategie migliori da adottare. Ecco perché noi banchieri dobbiamo essere sempre più professionali e fornire quello che ci viene chiesto soprattutto in tema di internazionalizzazione.
D. Si parla di emettere dei bond per le imprese di dimensioni minori. Quale successo potrebbero avere dopo quanto accaduto a Cirio, Parmalat, Giacomelli?
R. Il progetto cui stiamo pensando è un po’ particolare. Si tratta, in sostanza di cartolarizzare i debiti pregressi delle aziende e poi collocarli presso gli investitori istituzionali. Mi pare un’operazione intelligente che certamente rappresenterà un aiuto per le piccole e medie imprese alle quali l’iniziativa verrà indirizzata.
D. Però la cartolarizzazione riguarda il passato. Il futuro?
R. Il futuro consiste in un diverso rapporto tra la banca e le aziende.
D. Quale rapporto?
R. Un rapporto di fiducia reciproca. Veda, oggi l’imprenditore viene a chiederci aiuto solo quando è in difficoltà. Il discorso vale per tutti: dal più grande al più piccolo senza eccezioni. Fino all’ultimo cercano di negare l’esistenza di un problema. Magari lo fanno per orgoglio perché non vogliono riconoscere nemmeno a se stessi di avere sbagliato. Magari lo fanno perché sperano di potersi tirare fuori dai guai da soli. Invece il più delle volte il tentativo fallisce e l’azienda finisce nei guai. Ecco perché dico che gli imprenditori devono avere più fiducia nelle banche e venire da noi quando vedono le prime lesioni. Noi siamo pronti ad aiutarli. Se l’azienda è valida, se il management è buono, se la gestione è trasparente non c’è nessuna ragione al mondo per non fare la nostra parte. Le fasi cicliche colpiscono qualunque prodotto e qualunque attività. È un dato ineliminabile. I cali di mercato sono recuperabili e non è interesse di nessuno distruggere la ricchezza rappresentata da una buona azienda.
D. Sta delineando i contorni della classica house-bank dove il banchiere, oltre che fornire risorse, diventa anche consigliere dell’imprenditore e talvolta pure confessore.
R. Ma no guardi, non è proprio così. L’house bank tradizionale non esiste più. Ogni azienda è titolare di decine di relazioni con istituzioni diverse. Né potrebbe essere diversamente. Le grandezze finanziarie sono talmente cresciute che non possono essere collocate sul portafoglio di un solo istituto. Sto solo dicendo che bisogna creare un nuovo clima di fiducia tra impresa e banca. È un percorso indispensabile per dare impulso al sistema industriale.


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